sabato 24 dicembre 2011

lista dei desideri irrealizzabili

ronfare sotto un plaid di nuvole e cannella
una decina di centimetri d'altezza in più
Zooey Deschanel
un dislocatore temporale (anche usa e getta) con allegato un biglietto dei Doors
una mongolfiera rossa rossa
l'odore dell'alba racchiuso in una boccetta di profumo
sicurezza in pillole
un palazzo persiano in puro finissimo cioccolato
abbracciarla stretta a me per un'ultima maledettissima volta
una galleria di sculture in zucchero filato
accesso alla biblioteca di Lucien
buon umore a comando
l'appartamento di Joy e Chandler (ma anche un qualsiasi appartamentino a NY)
passeggiare in un bosco incantato
un gatto e un cane che si chiamano Morfeo e Barnabà. Rigorosamente parlanti!
un erogatore di fiabe dimenticate o mai narrate
lanciaragnatele per svolazzare tra i grattacieli di una metropoli
fare lo scivolo su un arcobaleno
una lotta contro un esercito di zombies da cui uscire vincitore
un cielo tascabile
destini reversibili
essere arruolato come agente segreto per una missione impossibile
un ventaglio infinito di possibilità
pattinare su un iceberg
chiedere alla polvere e ricevere una risposta
una fabbrica di biscotti
totale autocontrollo
lasciarmi andare senza controllo alcuno
una passeggiata nelle terre soffici
nessun principio e molteplici fini
un isola piena zeppa di misteri misteriosi
la parola giusta al momento opportuno
l'ispirazione dietro l'angolo

venerdì 1 luglio 2011

nothing but silence around me

il tempo non lenisce un cazzo. non è vero che è la cura, è solo la malattia più cronica, più tossica, più invincibile. nel suo essere una convezione umana, probabilmente la più antica e per questo la più opprimente, come una madre narcisista col proprio figliospecchio, è un tirannello bastardo che ti imprigiona in una gabbia di cemento e vernice, specie quando vorresti solo dimenticare e dell'oblio fare una coperta, o ancor meglio un sarcofago. su questa pareti monocromatiche, uniche dame di compagnia ammesse in questa prigionia, ti concede un proiettore alle spalle, di quelli in bianco e nero e sprovvisti di sonoro. costretto a rivedere quel filmato muto che è stata la tua vita dei tempi d'oro scorrono, sbiaditi ma potenti come un film di charlie chaplin, i fotogrammi di momenti indimenticabili e che proprio per questo vorresti scordare... ma in fin dei conti lo sai che quello è il tuo capolavoro di regia, che per un artista fallimentare come te quell'opera prima anche se incompiuta è l'unica leggermente riuscita, è già troppo, il successo sarà irreplicabile, non ti resta che aggrapparti ad essa finchè non ti avrà logorato dentro mentre tu consumi lei in questo replay senza fine. perchè in fondo la ami. ti fa soffrire ma la ami. la rivedi rivedi rivedi rivedi fino all'esasperazione. le lacrime appannano gli occhi esausti o forse commossi ma non ti basta mai. in fondo preferisci il dolore all'oblio. scorrono sadici gli sguardi languidi che si susseguono fino all'ultima romantica patatina, parigi come l'arcadia, le scorpacciate di torte in libreria, quel bianconiglio poi non tanto bianco che vi fece emozionare perchè la vita aveva i colori di una fiaba, parigi come l'arcadia, i tramonti invernali sul poggio, le colazioni del sabato mattina, i libri di poesia consumati, i baci rubati nel traffico, e ovviamente ancora parigi come l'arcadia. per quanto appaia impossibile rivedi anche gusti e odori, l'aroma delle briosce di praga, il profumo della sua crema  per il corpo, il vento sul lungo-danubio che le soffia tra i capelli. mai una nota in sottofondo però. mai un dialogo o una parola. era lei la colonna sonora, l'overture al piano, la sinfonia di note che musicava la tua esistenza. vorresti ascoltare un'ultima volta almeno quelle cinque lettere che unite in due parole formavano l'unica alchimia in grado di combattere l'oppressione di questo tempo che avvinghia e soffoca. ma l'audio è off , spento per sempre e per ricreare quella magia non è sufficiente leggere il labiale sulla sua bocca di petali di pesca. restano solo pellicole di vita, figurine sgualcite da conservare in una scatola di mogano, le ore interminabili tra la sveglia sempre troppo presto e un pranzo che ha il sapore del digiuno, i minuti dilatati all'infinito tra un cartellino timbrato e le palpebre abbassate. il tempo non lenisce proprio un cazzo.