lunedì 11 febbraio 2013

Idee-costume per un carnevale nichilista

Noto che da qualche anno va sempre più di moda interpretare per il carnevale cose, oggetti, a volte anche concetti. I classici Pulcinella, Colombine e Arlecchini, ma anche cowboy, suore e tarzan restano nei guardaroba a tener compagnia alla naftalina, mentre è sempre più consueto veder sfilare persone travestite da doccia, profilo facebook, scatolo di viagra, MicheleMisseri (!!!). I fenomeni di costume diventano i costumi stessi. 

Sinceramente non mi interessa fare un'analisi sociologica di questa tendenza, mentre vorrei, invece, proporre una lista di varie idee-costume, che consiglio a tutte le anime nere decise a seguire il trend carnevalesco di questi ultimi anni, ma che proprio non se la sentono di celare la loro pesantezza esistenziale dietro una maschera d'allegria e spensieratezza. A tutti coloro che vogliono indossare i loro abissi interiori, per questo carnevale 2013 provate a scegliere tra

  • PRESERVATIVO BUCATO
  • RIFIUTO UMANO
  • CLYDE VEDOVO (per le donzelle la Bonnie vedova)
  • BERSAGLIO VIVENTE
  • FOSSO (e la variante fosso delle Marianne)
  • BUCO NERO
Io penso che opterò per un costume da Bersaglio Vivente, pratico ed interattivo, corredato di coltelli  lame e freccette ad uso ed abuso degli altri festeggianti.

 

sabato 26 gennaio 2013

ancanze

Ho scoperto che quando scrivo con la tastiera, se non sto attento, il mio portatile mangia le emme. Ad esempio, se non avessi digitato i tasti con la dovuta zelante cura, ci sarebbe potuto scappare un “angia” o un “esepio”, anche se, a dirla tutta, fin qui il difetto sarebbe pure tollerabile. Certo è cosa dura per un fanatico della parola come il sottoscritto accettare che, parlando di cose a cui tiene,  i vocaboli che ne esplicano i concetti degenererebbero in tetri errori ortografici. Dovrei accettare una vita di “ongolfiere”, “arellate”, “cinea”, e, pur a malincuore, fin qui potrei pure sorvolare. Il dramma incalza, però, quando dal campo della semiologia si passa alla semantica, quando il segno non perde senso, ma ne acquista uno nuovo. Qua le cose iniziano a farsi più complicate.
"Dammi" si capovolge in "dai" e il possessivo "me" si converte nella ben più generosa congiunzione "e", suggerendomi quasi di essere meno incentrato su me stesso e darmi più al prossimo, addirittura andare alla ricerca di un ipotetico noi. Ma se "amore" mi diventa "a ore", qualche perplessità poi mi sorge perché sembra che l'unico cui potrei aspirare è quello che una prostituta soltanto  può dare. D'altronde anche il nome della mia ex ragazza, "Maria" cede facilmente il posto ad "aria", come quella che senza pensarci due volte ha repentinamente cambiato dopo la nostra rottura. “Mira” cambia in “ira”, perché in fin dei conti è tutto ciò che mi resta ogni volta - e capita spesso - che non centro un bersaglio. E dopo “calmarsi” non è mica facile, visto che diventa un “calarsi”, magari in panni che ormai non sento più miei. E se penso che "il mare" diventa "ilare" e "remo" muta in "reo", come se facesse ridere anche solo fantasticare sulla possibilità di una vacanza, di uno svago, inizio a pensare che devo scontare una qualche colpa dimenticata. L’unica cosa che mi consola ormai è che “mali” si converte in“ali”, così se proprio le cose si fanno insostenibili almeno mi resta la flebile speranza di spiccare il volo: magra  (o agra, poco cambia) consolazione, direte voi?
In fin dei conti mai dire ai.