venerdì 1 luglio 2011

nothing but silence around me

il tempo non lenisce un cazzo. non è vero che è la cura, è solo la malattia più cronica, più tossica, più invincibile. nel suo essere una convezione umana, probabilmente la più antica e per questo la più opprimente, come una madre narcisista col proprio figliospecchio, è un tirannello bastardo che ti imprigiona in una gabbia di cemento e vernice, specie quando vorresti solo dimenticare e dell'oblio fare una coperta, o ancor meglio un sarcofago. su questa pareti monocromatiche, uniche dame di compagnia ammesse in questa prigionia, ti concede un proiettore alle spalle, di quelli in bianco e nero e sprovvisti di sonoro. costretto a rivedere quel filmato muto che è stata la tua vita dei tempi d'oro scorrono, sbiaditi ma potenti come un film di charlie chaplin, i fotogrammi di momenti indimenticabili e che proprio per questo vorresti scordare... ma in fin dei conti lo sai che quello è il tuo capolavoro di regia, che per un artista fallimentare come te quell'opera prima anche se incompiuta è l'unica leggermente riuscita, è già troppo, il successo sarà irreplicabile, non ti resta che aggrapparti ad essa finchè non ti avrà logorato dentro mentre tu consumi lei in questo replay senza fine. perchè in fondo la ami. ti fa soffrire ma la ami. la rivedi rivedi rivedi rivedi fino all'esasperazione. le lacrime appannano gli occhi esausti o forse commossi ma non ti basta mai. in fondo preferisci il dolore all'oblio. scorrono sadici gli sguardi languidi che si susseguono fino all'ultima romantica patatina, parigi come l'arcadia, le scorpacciate di torte in libreria, quel bianconiglio poi non tanto bianco che vi fece emozionare perchè la vita aveva i colori di una fiaba, parigi come l'arcadia, i tramonti invernali sul poggio, le colazioni del sabato mattina, i libri di poesia consumati, i baci rubati nel traffico, e ovviamente ancora parigi come l'arcadia. per quanto appaia impossibile rivedi anche gusti e odori, l'aroma delle briosce di praga, il profumo della sua crema  per il corpo, il vento sul lungo-danubio che le soffia tra i capelli. mai una nota in sottofondo però. mai un dialogo o una parola. era lei la colonna sonora, l'overture al piano, la sinfonia di note che musicava la tua esistenza. vorresti ascoltare un'ultima volta almeno quelle cinque lettere che unite in due parole formavano l'unica alchimia in grado di combattere l'oppressione di questo tempo che avvinghia e soffoca. ma l'audio è off , spento per sempre e per ricreare quella magia non è sufficiente leggere il labiale sulla sua bocca di petali di pesca. restano solo pellicole di vita, figurine sgualcite da conservare in una scatola di mogano, le ore interminabili tra la sveglia sempre troppo presto e un pranzo che ha il sapore del digiuno, i minuti dilatati all'infinito tra un cartellino timbrato e le palpebre abbassate. il tempo non lenisce proprio un cazzo.


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